http://www.martemagazine.it/news/item/15134-f-passarella-un-radioso-retrophuture-davanti-a-noi



[ARTI VISIVE]


ROMA- In un mondo che si attarda sull’ideologia del postmoderno proponendoci assaggi e spigolature, ma spesso perdendo il senso complessivo di una progettualità che ci porti fuori dalle secche, entrare al numero 40 di Viia di Monserrato, a Roma, dov’è la The Gallery Apart, e prendere contatto con le visioni di RetroPhuture, l’ultima mostra di Fabrizio Passarella significa offrirsi un’immersione in un progetto magari solo artistico, ammettiamolo, ma che del post-moderno si pone come summa spingendo anche per un suo superamento, sull’onda di quel digitale che forse i giovani a volte utilizzano con poca consapevolezza storica.



Passarella in questo suo ultimo progetto si presenta nella veste triplice di artista visuale ma anche di compositore musicale e poeta affrontando cioè in una prospettiva di scambio intermediale le tre forme di espressione artistica che più lo hanno da sempre interessato, ma di sicuro entrando nella galleria non si può non venire risucchiati da una di quelle immagini 80 x 80 cm, realizzate in stampa fotografica su alluminio, che l’artista ci presenta questa volta al posto delle sue elaborate immagini squisitamente pittoriche. In “Art”, del 2012, sembra che il salone raffigurato nel famoso collage dell’artista proto-pop inglese Richard Hamilton “Cos’è che rende le case d’oggi così diverse, così attraenti?” (1956)“ si sia ibridato con il collage di Raoul Hausmann “Tatlin in casa” (1920), per produrre un ambiente casalingo votato alla sperimentazione del rap-porto uomo/donna-macchina in cui le concezioni futurologiche disseminate lungo il Novecento si puntellano l’una con l’altra in una euforica compresenza funzionale: delle donne, una anni ’40 con la testa robotica dai tratti antropomorfi stilizzati afro-picassiani, l’altra anni ’50 seduta su una sorta di lavatrice e reggente in grembo un modellino di aereo bimotore grande come lei, si godono un relax ultramodernista ascoltando musica da un magnetofono collegato a cuffie speciali, mentre una terza, in abito nero da parata futurista e circondata da un gioco di molle concentriche che forse è un campo di forza circolare. Frattanto, uomini o col cappotto nero di pelle da spia nazista o in tuta da operaio sovietico ripreso da Dziga Vertov, sono concentrati nella messa a punto di dispositivi colossali atti alla regolazione delle fantasie di dominio dell’uomo sul suo destino, o meglio, alla loro sintonizzazione fine sulle possibilità tecnologiche disponibili in un presente im-manente e tronfio di fiducia illimitata nella scienza, alludendo perfino all’uso artistico dei tubi al neon, così come viene proposto da ipotetiche pubblicità anni ’50, pop-concettual-retrofuturibili. Come si intuisce da que-sta avventurosa descrizione, Passarella già nella sua ricca e ben documentata produzione pittorica è uno specialista dei campionamenti, capace di attingere anche da repertori derivati dall’Oriente, con cui ha avuto nell’arco della sua carriera, diversi momenti di contatto, ma ci pare di poter dire che le sue radici occidentali non sono minimamente in discussione. Infatti, in questo ambizioso lavoro quantomai multimediale, messi da parte i pennelli, si è de-dicato ad una densa reinterpretazione di una miriade di immagini del futuribile che fu, accompagnate da irre-sistibili riferimenti alla cultura musicale del nostro tempo, ed in particolar modo allo sperimentalismo di Terry Riley, La Monte Young e Steve Reich, più un tocco di Prog Rock, la decadente trilogia berlinese di Bowie realizzata in collaborazione con Brian Eno e Robert Fripp, i suoni ambient dello stesso Eno solista, il primo pop “meccanico” di Gary Numan, il Krautrock dei Kraftwerk e dei Tangerine Dream (tra gli altri) e le loro ricadute massificate degli anni ’80, compromesse con il pop e la dance – e par-liamo del Techno Pop – e certi strati del New Romantic occupati da bands come Joy Division e Ultravox, fino alla deriva sfarinata degli effimeri gruppi Synthpop scovati su Internet.


L’output musicale del progetto, caratterizzato, malgrado la “maldestra verginità tecnica”, da una certa com-plessità, è stato elaborato in fondo in casa, una casa – come dicevamo prima – divenuta un laboratorio di alchimìe estetiche, in questo caso studio di registrazione oltre che atelier, con un approccio tecnologico-arti-gianale fondato su conoscenze autosviluppate; un approccio non condizionato, molto liberatorio proprio per la indipendenza, l’autodeterminazione creativa che un non-musicista come Passarella (e come lo  stesso Brian Eno si definiva) può godere pensando di essere semplicemente un artista che usa i nuovi software per la manipolazione dei suoni come un ulteriore tavolozza su cui realizzare composizioni scaturite “come in una scrittura automatica surrealista”. D’altronde, che nel futuro prossimo ognuno sarebbe stato in grado di fabbri-care la propria musica era uno sviluppo che Passarella già presentiva all’inizio degli anni ’80 (“Ci sono voluti trent’anni, ma eccoci qua!”). Il prodotto globale, invece, di questa miscellanea satura di immagini, testi e suo-ni impregnati di modernismo eroico, esaltazione retorica della macchina e del superuomo, o di post-moder-nismo post-industriale fantascientifico, è un kit portatile, un condensato trasportabile e trapiantabile in qua-lunque contesto, rappresentato da un box, un “multiplo d’artista”, esemplifi-cazione tarda ma ideale dell’”o-pera d’arte nell’età della sua riproducibilità tecnica” di benjaminiana memoria, consistente in un insieme di oggetti che racchiudono l’intero spettro creativo presente in mostra e non, vale a dire il CD con 24 brani musicali composti dall’artista, un libretto di 24 poesie, e le 24 immagini corrispondenti ai brani, delle quali solo alcune sono visibili in galleria. Completa il box, col suo spessore riassuntivo, un DVD con il video, di cui parleremo dopo. Il tutto al prezzo contenuto di 150 euro tondi tondi. Prima di tornare alle opere, occorre insistere sullo spirito dell’operazione, che, malgrado l’ampio uso di materiale iconografico e di propaganda della Germania e della Russia degli anni ’30, non rivela alcun intento ideologico, dal momento che lartista riflette con evidente ironia sulle coincidenze estetiche che accomunano tutti i regimi totalitari, il gigantismo magniloquente armato di classicismo imperioso come nei monumenti dello Stadio dei Marmi, o dei Kolkosiani, o delle raffinatissime pellicole della regista di regime Leni Riefenstahl, simboli di una spinta rea-zionaria e modernista insieme, verso un futuro che si supponeva splendente. Lo stesso Passarella, da sem-pre affascinato dagli ossimori culturali, mostra questi linguaggi nel loro intrecciarsi con l’eredità romantica europea, con il decadentismo che poi promana dalla “musica delle macchine”, che unisce nostalgia, sirene di guerra, ritmi industriali, effetti misteriosi e melodie magari elementari ma toccanti, esaltazione di un eroismo post-umano brillantemente sintetizzato da Bowie nel brano che “è stato l’inno della fin de siecle scorsa”, uniti alle ansie per la crisi dell’industrialismo piuttosto che per le catastrofi tipo Chernobyl. Anche il fascino delle rovine è infatti presente, sia nel senso di desolati paesaggi post-bellici sia nel senso ultimativo del trapasso della stessa era postmoderna, un declino forse ciclico ma la cui manifestazione non solo economica è sotto gli occhi di tutti. Fascinazione e repulsione verso la scienza, “monumentalismo minimale”, “bricolage tecnologico”, ancora ossimori affascinanti ricavati dalla rivisitazione di un vastissimo repertorio di immagini raccolto in anni di paziente e fervente collezionismo e dalla riflessione sociologico-poetica espres-sa in testi dalla metrica stringatissima ma visionari almeno quanto i modelli derivati dal rock elettronico. Il senso ultimo di tutto questo gioco di rimandi non è nella ricerca dell’effetto nostàlghia o nella strizzata d’occhio all’archeologia tecnologica, ma nella riflessione sul tramonto/crollo/decadenza/fine – in una parola, Untergang – di una fase storica caratterizzata appunto dallo stretto connubio tra gli elementi macro-culturali sopra elencati. Il progetto di Passarella mantiene la potenza di questa commistione ma si accresce nella lucida e spietata evidenza con cui fa risaltare lo stallo ideologico che ha portato alla presente deriva econo-micista; devono svilupparsi nuove categorie del pensiero, a partire dalla Storia degli uomini e delle idee a cui ci si deve ispirare ma criticamente per poter tratteggiare un futuro possibilmente migliore.


In “Electronic Music Engineering”” una distinta figura maschile, che dovrebbe essere Michael Rennie, attore in “The day the Earth stood still” (”Ultimatum alla Terra), del 1951, considerato da Passarella l’epitome dello “spirito retrofuturistico dello scienziato manipolatore di energia”, si trova al centro di una stanza divisa in quadranti virtuali, forse apribile a comando su spazi esterni carichi di misteriose implicazioni mesmeriche, ed in questo spazio composito sono addensati come sulla plancia di comando di un’astronave o di una centra-lina di controllo, tutti i dispositivi di una strumentazione tecnotronica imperscrutabile, con sovrapposizioni fluttuanti di simboli di carichi elettro-fisici, e la visualizzazione ologrammatica di un cervello stilizzato apparso in virtù dei comandi azionati dall’uomo pigiando con sguardo carico di pietas o semplice perplessità su un bottone di un pannello accanto al quale compaiono diversi tipi e modelli di tastiere con pannelli per la rimo-dulazione dei pittogrammi, che a loro volta scorrono in fila sullo schermo, mentre umori trasparenti in forma di raggi simili a quelli dei Tesla coils che serpeggiano come umori ectoplasmatici, suscitati elettronicamente anche da microfoni anni ’40.

Nell’ottimo video, invece, vera sintesi di tutto il progetto, riassuntiva rispetto a tutte le immagini statiche delle stampe su alluminio, ritroviamo appunto elementi già presenti nei quadri, ma animati grazie ad applicazioni video al computer dallo stesso artista e inseriti in “spezzoni storici scaricati dalla rete e filtrati: tra i tanti, documentari sulle Guardie Rosse maoiste, sui Pimpf hitleriani, cori e danze dell’Armata Rossa, Carmen Miranda, Rodolfo Valentino, ballerini di tango, un raro video sul “Monumento alla Terza Internazionale” di Tatlin, la “Lichtskhatedrale” dal “Triumph des Willens” di Leni Riefenstahl, sulle utopie urbanistiche della Russia stalinista e sul modellino della nuova Berlino di Speer” (citiamo dalla nutrita e gustosissima fanzine creata e distribuita gratuitamente dall’artista a beneficio dei visitatori). La donna fotografata da Rodcenko gri-da graficamente un “Elektronik!” e “Musik!”, le risponde un pilota alle sue spalle, e infatti appaiono anche i padri della musica elettronica, del minimalismo, tra cui Robert Moog, Gary Numan, Clara Rockmore (la più grande virtuosa del theremin), tutti ampiamente citati nella parte musicale, ma anche Juri Gagarin, l’Orson Welles de “Il terzo uomo” con una Schneekugel al posto della pistola, per non parlare delle dive del cinema Rita Heyworth e Ava Gardner e le loro colleghe tedesche ed europee catturate insieme ad altri in una danza suprematista, costruttivista, intorno alle epifanie geometriche dei vari monumenti e palazzi stalinisti e hitle-riani e americani misti a manifesti di propaganda e illustrazioni di riviste vintage. Il tutto in un montaggio non da videoarte, o almeno non quello lentissimo mirato all’analisi del rapporto tra tempo reale e filmico di un Bill Viola, ma quello tipico dei veloci videoclip synthpop, perfetto per una coreografia a base di movimenti a scatto, espressione della poetica robotica degli anni ’80 (con la radice, “Metropolis”, non a caso attualizzata nell’’84 da Giorgio Moroder in versione rock) con un testo che significativamente recita: “L’arte è un vecchio giocattolo/ ingom-brante spazzatura da museo/ Noi costruiamo in solitudine/ il battito della moltitudine/ Noi costruiamo sculture di suono/ pitture immateriali/ minimalismi monumentali/ concettualismi portatili/ Visionari disintossicanti artistici/ che si possono portare ovunque/ in un piccolo involucro musicale/ per stimolare il cervello/ Noi siamo Ingegneri (di musica) elettronici/ Costruttivisti romantici/ Noi siamo designer (di musica) elettronici/ Ossimorici Retrofuturisti”.

Una nota finale meritano infatti gli strali polemici che l’autore indirizza, nella fanzine, contro l’obsoleto corto-circuito tra l’arte come snobistico status-symbol con cui la ricca borghesia si diverte a scandalizzare il proletariato, rovesciando i ruoli fissati dall’avanguardia, e “il tritacarne di anime e cervelli di questo tardo capitalismo putrefatto”. Passarella auspica che un nuovo romanticismo disperato, dalla stessa carica eversiva e cinica del punk intervenga a riscattare i giovani artisti dall’apatia, dalla volgarità allucinante di certi ingranaggi del Sistema simili a talent-show negando valore all’estenuata ondata neo-dadaista e alla vague (post)warholiana, che da tempo mostrano la corda. Provocazione estrema rivolta sia contro i vecchi regimi, sia contro provocazioni precedenti, interpretate impietosamente come la traccia maleodorante di una “maniera” messa a nudo nella sua ipocrisia espressiva. Parole scritte per spingere a voltar pagina e mettersi davanti un radioso RetroPhuture!


il7 – Marco Settembre

http://www.globartmag.com/2012/02/12/fabrizio-passarella-mostra-the-gallery-apart-roma/


Retrophuture è un progetto musicale/mediale con cui Fabrizio Passarella si presenta per la sua nuova personale romana presso The Gallery Apart (inaugurazione il 20 febbraio) nelle vesti non solo di artista visuale, ma anche di compositore e poeta. Messi da parte per una volta i pennelli, ma non certo il metodo di creazione di immagini per campionature, Passarella dà vita ad una sua interpretazione di quell’universo di suoni, stili, visioni e suggestioni ben noto agli appassionati di musica elettronica.

Arte e musica sono per Passarella le passioni più grandi fin dall’infanzia e, in questa occasione, egli porta ad estreme conseguenze il suo approccio tecnico e teorico volto a decostruire o rifiutare i linguaggi tradizionali. Ne emerge, quale primo step concettuale del progetto, la mostra che sta in una scatola, secondo una visione popolare della fruizione del processo creativo, un multiplo d’artista contenente ognuno l’intero corredo creativo di cui Retrophuture si compone, vale a dire un cd con 24 brani musicali composti dall’artista, un libretto recante 24 poesie e 24 immagini corrispondenti ai brani e infine un dvd contenente un video.
Il contesto nel quale il progetto Retrophuture si sviluppa comprende il minimalismo di Steve Reich, Terry Riley e La Monte Young, la decadente trilogia berlinese di Bowie, i suoni ambient di Eno, il romanticismo congelato di John Foxx, il primo pop “meccanico” di Gary Numan, il Krautrock e i mantra industriali post-rileyani dei Kraftwerk, le bizzarrie oblique di Steven Brown e Blaine Reiniger così come le centinaia di effimeri gruppi flexi-synthpop scovati su internet.

Passarella fa inoltre largo uso di materiale iconografico e di propaganda della Germania e della Russia degli anni trenta, senza che ci sia, ovviamente, nessun aggancio di tipo ideologico, pur essendo ben cosciente di muoversi in un terreno minato affrontato con l’ironia necessaria, rilevando le coincidenze estetiche dei regimi totalitari e l’uso della retorica come poetica base (come nei monumenti dello Stadio dei Marmi, o dei Kolkosiani, o nelle raffinatissime pellicole della Riefenstahl) ed esaltando l’eroismo titanico e della macchina (ripresi da Bowie in quello che è stato l’inno della fin de siécle scorsa), simbolo della spinta al tempo stesso reazionaria e modernista verso un ipotetico futuro splendente. Applicato alla musica, ciò significa una composizione scaturita come in una scrittura automatica surrealista e veloce, frutto della piena appropriazione di softwares musicali facili da usare, magari ricreando suoni analogici attraverso un semplice e geniale programma di Mac per principianti; mezzi perfetti per un non-musicista e un artista educato all’occhio, funzionando più come una specie di montaggio video o un photoshop musicale che come un foglio di composizione tradizionale. Vera design-music o pittura sonora ottenuta aggiungendo, sottraendo, cancellando, copiando.


Parallelamente alla musica, Passarella ha lavorato sui testi (metrica stringatissima, rime basiche, linguaggio visionario dei testi dei musicisti prima citati) e sulle immagini, creando per ogni brano musicale un corrispettivo poetico e visivo.
Il suo interesse però non era realizzare un’operazione nostalgica o di archeologia tecnologica, bensì riflettere sul senso profondo dell’evidente definitivo tramonto/declino/decadenza/crollo/fine (in una parola, Untergang) di una fase storica caratterizzata dal connubio tra una persistente eredità romantica europea, l’industrialismo del dopoguerra e l’odierna onnipresenza della tecnologia. La potenza del progetto di Passarella risiede nella lucida e spietata evidenza con cui dipinge lo stallo ideologico e culturale che caratterizza la stagione che il mondo occidentale e l’Europa in particolare stanno vivendo. La deriva economicista cui le formule interpretative in auge costringono la crisi, per Passarella deve lasciare il passo ad altre categorie di pensiero, a partire dalla Storia degli uomini e delle idee da cui trarre ispirazione per un futuro possibile.

Ma la sintesi del progetto Retrophuture è il video, concepito come un veloce videoclip synthpop, con una colonna sonora il cui testo significativamente recita: L’arte è un vecchio giocattolo/ ingombrante spazzatura da museo/ Noi costruiamo in solitudine/ il battito della moltitudine/ Noi costruiamo sculture di suono/ pitture immateriali/ minimalismi monumentali/ concettualismi portatili/ Visionari disintossicanti artistici/ che si possono portare ovunque/ in un piccolo involucro musicale/ per stimolare il cervello/ Noi siamo Ingegneri (di musica) elettronici/ Costruttivisti romantici/ Noi siamo designer (di musica) elettronici/ Ossimorici Retrofuturisti. Il video anima spezzoni storici scaricati dalla rete e filtrati: tra i tanti, documentari sulle Guardie Rosse maoiste, sui Pimpf hitleriani, cori e danze dell’Armata Rossa, Carmen Miranda, Rodolfo Valentino, ballerini di tango, un raro video sul “Monumento alla Terza Internazionale” di Tatlin, la “Lichtskhatedrale” dal “Triumph des Willens” di Leni Riefenstahl, sulle utopie urbanistiche della Russia stalinista e sul modellino della nuova Berlino di Speer. Ne è protagonista l’attore Michel Rennie di “The day the Earth stood still (Ultimatum alla terra) del 1951, archetipo dello spirito retrofuturistico dello scienziato manipolatore di energia (che qui si trasforma in suono elettronico), per riprendere la poetica robotica degli anni ’80, nei movimenti a scatto e stereotipati ottenuti con un’animazione primordiale.

Ed ecco che la mostra in scatola diventa anche esibizione in galleria di opere visuali, pezzi unici montati su alluminio delle immagini realizzate digitalmente in un fascinoso bianco e nero che dà enfasi alle atmosfere dove deco, retrò pre e postbellico e futuribile si mescolano. Una fanzine appositamente ideata e realizzata dall’artista completerà l’intero progetto


http://www.artincontro.com/fabrizio-passarella-retrophuture/

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Fabrizio Passarella. Retrophuture

Vittoria Coen • 23 novembre 2012


 

Il bianco e nero ci catapulta immediatamente e prepotentemente nel futuro progettato, sognato e disegnato dagli scienziati, dagli artisti, dai registi e dai musicisti del XX secolo. La musica elettronica fa da collante efficace alle storie, alle immagini che si sovrappongono e che sono realizzate attraverso complessi montaggi e altrettanto complessi collage. E’ quella musica elettronica che ci riporta indietro nel tempo, quando il fenomeno esplose internazionalmente, diversi decenni fa.

Appare il gruppo tedesco dei Kraftwerk, che tanto hanno influenzato quella musica che, in forma più addolcita, sentiamo oggi, saccheggiati come sono stati fino a scomparire nella memoria delle giovani generazioni. Quei quattro ragazzi con la faccia pulita e la giacca, quasi fossero ricercatori dell’Accademia di Düsseldorf, che hanno creato nell’album “Autobahn” una sinfonia di suoni ed effetti di fortissima suggestione, solo, si fa per dire, andando in autostrada.

Accanto a questi i più famosi Brian Eno e David Bowie, mentre un giovane Orson Welles e un meno giovane Totò fanno capolino sulla scena, che si intreccia e si avvita in una danza scandita come nella poesia greca, dove eroi della Cina di Mao e della ex Unione Sovietica ci riportano alla memoria perle di un cinema che oggi non c’è più.

Quando Fritz Lang realizzò Metropolis non poteva sapere che quelle immagini sarebbero circolate vorticosamente in centinaia di altri film, dalle minime alle evidenti citazioni fino quasi al plagio, che non hanno risparmiato i grandi come i modesti registi di dopo. Ma forse uno dei motivi può essere (soprattutto se il film non ha il solo scopo di manifestare se stesso) che il racconto sul futuribile ha bisogno di icone facilmente riconoscibili per tutti, e l’uomo macchina, il robot, così come il marziano, hanno nell’immaginario più o meno le stesse sembianze.

E così dietro ad una Rita Hayworth che volteggia come la ballerina di un carillon appaiono scene di esplosioni e catastrofi, e noi andiamo istintivamente a cercare se fra queste c’è anche l’esplosione dell’”atomica” ( e la troviamo), che oltre alla bomba era diventato il soprannome dell’attrice. Idee e ideologie, descritte nelle facce ardenti degli eroi dell’aviazione avanguardista e di quelli del Realismo socialista, protési e aggettanti come i grattacieli delle metropoli moderne, sfiorati solo da ultrasuoni e da lampi di onde elettromagnetiche e scariche elettriche , che l’attore cinematografico produce sulla tastiera. Mentre quindi Fred Astaire e Ginger Rogers ballano nella magia della leggerezza ossessivamente studiata, e mentre scienziati-ingegneri con camici bianchi cercano di trovare le risposte alla sempre crescente richiesta dell’industria, in un mondo che cambia vertiginosamente, l’artista diventa creatore di un corto circuito con se stesso, o con la sua proiezione, in una sorta di allucinazione, appunto, retro futura.

Link

  1. www.retrophuture.org

  2. www.kraftwerk.com



#02

http://www.amateurtoexpertphotography.com/tag/fromamattoexp-20/video/4g_d7Qp_iNE&feature=youtube_gdata_player

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FABRIZIO PASSARELLA RETROPHUTURE

Video Description & Information


Retrophuture è un progetto musicale/mediale con cui Fabrizio Passarella si presenta per la sua nuova personale romana presso The Gallery Apart nelle vesti non solo di artista visuale, ma anche di compositore e poeta. Messi da parte per una volta i pennelli, ma non certo il metodo di creazione di immagini per campionature, Passarella dà vita ad una sua interpretazione di quell'universo di suoni, stili, visioni e suggestioni ben noto agli appassionati di musica elettronica. Arte e musica sono per Passarella le passioni più grandi fin dall'infanzia e, in questa occasione, egli porta ad estreme conseguenze il suo approccio tecnico e teorico volto a decostruire o rifiutare i linguaggi tradizionali. Ne emerge, quale primo step concettuale del progetto, la mostra che sta in una scatola, secondo una visione popolare della fruizione del processo creativo, un multiplo d'artista contenente ognuno l'intero corredo creativo di cui Retrophuture si compone, vale a dire un cd con 24 brani musicali composti dall'artista, un libretto recante 24 poesie e 24 immagini corrispondenti ai brani e infine un dvd contenente un video. Il contesto nel quale il progetto Retrophuture si sviluppa comprende il minimalismo di Steve Reich, Terry Riley e La Monte Young, la decadente trilogia berlinese di Bowie, i suoni ambient di Eno, il romanticismo congelato di John Foxx, il primo pop "meccanico" di Gary Numan, il Krautrock e i mantra industriali post-rileyani dei Kraftwerk, le bizzarrie oblique di Steven Brown e Blaine Reiniger così come le centinaia di effimeri gruppi flexi-synthpop scovati su internet. Passarella fa inoltre largo uso di materiale iconografico e di propaganda della Germania e della Russia degli anni trenta, senza che ci sia, ovviamente, nessun aggancio di tipo ideologico, pur essendo ben cosciente di muoversi in un terreno minato affrontato con l'ironia necessaria, rilevando le coincidenze estetiche dei regimi totalitari e l'uso della retorica come poetica base (come nei monumenti dello Stadio dei Marmi, o dei Kolkosiani, o nelle raffinatissime pellicole della Riefenstahl) ed esaltando l'eroismo titanico e della macchina (ripresi da Bowie in quello che è stato l'inno della fin de siécle scorsa), simbolo della spinta al tempo stesso reazionaria e modernista verso un ipotetico futuro splendente. Applicato alla musica, ciò significa una composizione scaturita come in una scrittura automatica surrealista e veloce, frutto della piena appropriazione di softwares musicali facili da usare, magari ricreando suoni analogici attraverso un semplice e geniale programma di Mac per principianti; mezzi perfetti per un non-musicista e un artista educato all'occhio, funzionando più come una specie di montaggio video o un photoshop musicale che come un foglio di composizione tradizionale. Vera design-music o pittura sonora ottenuta aggiungendo, sottraendo, cancellando, copiando. Ma la sintesi del progetto Retrophuture è il video, concepito come un veloce videoclip synthpop, con una colonna sonora il cui testo significativamente recita: L'arte è un vecchio giocattolo/ ingombrante spazzatura da museo/ Noi costruiamo in solitudine/ il battito della moltitudine/ Noi costruiamo sculture di suono/ pitture immateriali/ minimalismi monumentali/ concettualismi portatili/ Visionari disintossicanti artistici/ che si possono portare ovunque/ in un piccolo involucro musicale/ per stimolare il cervello/ Noi siamo Ingegneri (di musica) elettronici/ Costruttivisti romantici/ Noi siamo designer (di musica) elettronici/ Ossimorici Retrofuturisti. Il video anima spezzoni storici scaricati dalla rete e filtrati: tra i tanti, documentari sulle Guardie Rosse maoiste, sui Pimpf hitleriani, cori e danze dell'Armata Rossa, Carmen Miranda, Rodolfo Valentino, ballerini di tango, un raro video sul "Monumento alla Terza Internazionale" di Tatlin, la "Lichtskhatedrale" dal "Triumph des Willens" di Leni Riefenstahl, sulle utopie urbanistiche della Russia stalinista e sul modellino della nuova Berlino di Speer. Ne è protagonista l'attore Michel Rennie di "The day the Earth stood still (Ultimatum alla terra) del 1951, archetipo dello spirito retrofuturistico dello scienziato manipolatore di energia (che qui si trasforma in suono elettronico), per riprendere la poetica robotica degli anni '80, nei movimenti a scatto e stereotipati ottenuti con un'animazione primordiale. Ed ecco che la mostra in scatola diventa anche esibizione in galleria di opere visuali, pezzi unici montati su alluminio delle immagini realizzate digitalmente in un fascinoso bianco e nero che dà enfasi alle atmosfere dove deco, retrò pre e postbellico e futuribile si mescolano. Una fanzine appositamente ideata e realizzata dall'artista completerà l'intero progetto. The Gallery Apart via di Monserrato, 40 - 00186 Roma RIPRESA VIDEO : MASSIMO DE PASCALE "M.D.P."

Channel: Education
Author: Massimo De Pascale

Length: 05:30
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